giovedì 30 luglio 2009

Manager responsabili.

Leggendo online L'Unità mi è capitato un interessante articolo in merito al "manager responsabile". Si tratta di una figura di origine anglosassone (e te pareva...), il c.d. CSR Manager, volta a massimizzare il profitto aziendale in un'ottica etica ed in modo armonioso con tutti i portatori di interesse, ovvero gli stakeholders, quali per esempio i dipendenti, i sindacati, le ong, le amministrazioni locali.
Tra le svariate funzioni della figura anche e soprattutto quella di favorire il dialogo tra le varie parti.
Secondo le stime si tratta di un ruolo aziendale destinato a crescere, al punto che sono previsti dei corsi di formazione mirati alla creazione di nuove capacità.
La notizia è incoraggiante e allo stesso tempo segna un'inversione di tendenza rispetto al trend iniziato negli anni '90 e cresciuto nei primi anni 2000. Quando studiavo economia aziendale, un mio professore (nonchè stimato professionista a livello nazionale ed internazionale) era solito incensare il ruolo dell'impresa quale semplice fulcro di contratti, tale per cui prendi un capannone in affitto, i macchinari in leasing, i dipendenti con somministrazione di lavoro, il marketing terzializzato (come tutti gli altri principali servizi) e il gioco è fatto: sei imprenditore e padrone di nulla. E libero dal peso della responsabilità sociale che, a mio avviso, deve inderogabilmente essere legata a doppio filo a chi fa impresa o la gestisce.
Gli anni di liberismo estremizzato hanno portato a comportamenti spesso discutibili, alcune volte riprovevoli. Imprenditori improvvisati e con pochi scrupoli che, usando le pieghe di un sistema povero di controlli e con un'etica diffusa realmente ai minimi termini, si infilavano in business mordi e fuggi, arraffando l'arraffabile. Perchè tanto il conto, quello vero e reale, lo paga qualche altre poveraccio.
Sia esso il lavoratore a tempo determinato lasciato in mezzo alla strada, sia la banca cui i crediti non vengono corrisposti e che si deve limitare a recupare le 4 lire di capitale sociale.
Per come sono stato educato, aziendalmente parlando, fare impresa è una massimizzazione di profitto. Per come sono cresciuto, umanamente parlando, con famigliari dipendenti di aziende solide ed etiche, fare azienda è diverso. E' crescere con i propri dipendenti, mettendoli nella condizione di poter lavorare serenamente. I miei famigliari hanno avuto la fortuna di avere lavori in contesti in cui l'azienda forniva l'asilo, la colonia estiva, la casa di riposo.
Aziende etiche, fatte per durare nel tempo, gestite con il cuore, oltre che con il cervello. E con il fegato, di sapersi accollare rischi derivanti da costi "sociali" più alti.

4 commenti:

  1. E allora non saremmo nell'epoca del turbo capitalismo. Dico solo che la massimizzazione dei profitti è in chiara antitesi con i diritti a essere considerati uomini.Abbiamo mezzi e tecnologia per fare ciò che vogliamo, e ne siamo diventati schiavi in nome di uno sviluppo sbagliato.
    A presto

    RispondiElimina
  2. Querido novo amigo ,estou precisando muito dos amigos pra me ajudar a montar o Projeto Miniblioteca Comunitária Anareis,esse projeto é composto da minibiblioteca e outras atividades para crianças e adolescentes na minha comunidade carente aqui no Rio de Janeiro. Sou humilde e sozinha não vou conseguir,já consegui comprar 120 livros e ganhei alguns livros de amigos blogueiros ,até de portugal por intermédio de meus blogs do google:(Eulucinha.blogspot.com ),se quiser visitar esses blogs,ficarei muito feliz. A campanha de doações pode doar de 10,00 a 30,00 no Banco do Brasil agencia 3082-1 conta 9.799-3 ou pode doar livros ou pode doar máquina de costura,ou pode doar retalhos,qualquer tipo de doação será muito bemvinda. As doações em dinheiro serão para compra de livros,estantes,material de construção,mesas,cadeiras,alimentos,etc. Se voce puder recadar doações estarei agradecida. Muito obrigado por sua atenção.

    RispondiElimina
  3. Hai messo in campo interessanti elementi di riflessione. Esistono ancora quelle aziende che attorno a se creano strutture rivolte in prima battuta per migliorare la qualità della vita dei propri dipendenti e spesso allarga la proposta al territorio su cui interreagisce?
    Istintivamente viene da pensare alla vecchia "Olivetti" di Ivrea o a realtà del nord europeo con una spiccata radicalizzazione della socialdemocrazia.
    Il liberismo selvaggio credo che abbia lasciato spazi pari a zero a quelle realtà.
    La logica della speculazione finanziaria supera quella del massimo sfruttamento del lavoro.
    Il marchio di qualità lascia spazio al listino della borsa, credo che gli spazi per una ridistribuzione in servizi siano scomparsi.
    Anche le socialdemocrazie nord europee entrano in crisi.
    La chiave sulla quale dobbiamo a mio parere agire è quella dell'individuazione di cosa produrre e come produrre, quali sono i nostri bisogni reali, e , un consumo equilibrato.
    Ho fatto solo delle enunciazioni, spero avrai la voglia di cercare in rete la documentazione sulla decrescita e sul consumo sostenibile.

    RispondiElimina
  4. Ho letto "La scommessa della decrescita" di Latouche (ed. Feltrinelli). Credo colpisca nel segno o che, quanto meno, dia utili elementi di riflessione.
    Personalmente penso che sia sbagliato produrre alimentando bisogni inesistenti, nell'ottica che il mercato continuerà a crescere in via sempiterna.
    Il tutto condito e, a sua volta alimentato, dal consumismo e da modelli di vita improntati sempre più sul superfluo.
    Prima che di decrescita penso si debba parlare di educazione al consumo e di buon senso. Un esempio: conosco persone in grado di fare 150 km andata e 150 km ritorno per mangiare un gelato, con la scusante che "tanto c'ho il diesel".
    Questo, in modo grottesco, è l'archetipo della nostra società!
    Per me decrescità è questo: tornare ad essere consumatori pensanti e razionali.
    Ciao e a presto,
    Ghino

    RispondiElimina