giovedì 11 giugno 2009

Paura


Una cosa non mi va a genio delle utlime elezioni: la superficialità.

Non voglio essere un censore e commentare le abitudini sessuali di chiunque. O tanto meno essere un eco a chi grida che nel mondo ci si dimette per scandali di gran lunga minori all'uso di voli stato per il trasporto di cantanti ed affini.

O per e condanne.

La superficialità di votare nonostante tutto, senza porsi nemmeno un momento il problema in merito alla moralità. Non solo, estendendo il discorso alla "coalizione" vincente, mi chiedo come possa essere passato inosservato l'atteggiamento populistico e demagogico con cui è stata portata avanti la campagna elettorale.

Mettendo da parte le feste di Casoria e i voli in Sardegna, mi volevo soffermare su una serie di elementi senza dubbio forieri di discussione.

Il primo è senza dubbio il fattore paura. Paura della crisi, della recessione, della perdita del posto di lavoro, del cambiamento annunciato da più parti delle proprie abitudini consolidate nell'ultimo lustro, dell'immigrazione clandestina e non, della diversità.

Tutte queste paure, sono state il fattore centrale, il motore della campagna elettorale di Lega e centrodestra. E' stato un insieme sconclusionato di proclami agghiaccianti, su cui chi ha un minimo di senso civico dovrebbe interrogarsi.

Una riproposizione di "ridare l'Italia agli italiani", di demonizzazione degli immmigrati quale prima e forse unica causa della crisi, di forte irrigidimento sociale.

La paura è stato il centro di tutto. Unitamente ad una strategia del tutto televisiva, con tanto di candidate-veline, e quindi pronta e funzionante per i palati meno raffinati.

Pronta per quelle fasce sociali caratterizzata da poca cultura e tanto grande fratello, per intendersi.

Far leva sul popolo meno preparato e sulle sue paure, indicando nel diverso il nemico, a me ricorda tristemente gli anni '20 e '30 del secolo scorso.

Il successo drammatico dei partiti xenofobi mi riporta ancor più verso l'Europa degli anni 30.

E così mentre il Carroccio grida ai comizi "che qui la moschea non si fa", mi sorgono domande su domande. Per esempio, se siamo ancora una repubblica in cui le religioni hanno pari dignità o se nel mentre siamo diventati una teocrazia. Oppure se il divieto leghista sia valido solo per le moschee e non per le altre confessioni, che ne so, per la costruzione di templi buddisti.

O sinagoghe. O templi taoisti. O chiese battiste.

Vale solo per i musulmani o per tutti coloro che non sono cristiano-cattolici?

E poi.

Sono finite davvero le "invasioni" che secondo i manifesti leghisti dovrebbero farci fare la fine dei pellerossa? E i tanti "cumenda" con le loro piccole aziende che campano sul lavoro in nero degli immigrati clandestini e che partecipano alle riunioni padane, cosa ne pensano?

Per non parlare di cosa ne pensano i tanti piccoli artigiani che non dichiarano una lira al fisco e vanno a Pontida a gridare per avere legalità?

Stiamo parlando di legalità o di un comodo dito dietro cui nascondere le proprie colpe?


Ghino

mercoledì 10 giugno 2009

Forse, chissà, perchè.


Capitano, certe volte, cose che mai ti aspetteresti.
Cose su cui la legge dei grandi numeri non funziona, tanto sono odiosamente insopportabili.

Mi alzo reduce da qualche notte insonne con la sola speranza che sia stato tutto un sogno ma mi basta un colpo d'occhio, la riacquisizione di un barlume di lucidità, per capire che è andata così.
Michael Moore all'inizio di Fahrenheit 9/11 pensa che Bush non abbia mai vinto le elezioni perchè Al Gore stava festeggiando, assieme a De Niro e Ben Affleck, sul palco allestito a festa.

Invece no, non è andata così.

Forse quando speri così intensamente una cosa poi ottieni sempre il contrario; forse addirittura SAI già che le cose non andranno come spereresti ma ti crei una difesa interiore, accarezzando mentalmente il tuo desiderio.

Chissà se capita anche voi. A me sicuramente sì. Dai tempi della scuola, quando la pancia tirava nell'attesa che il professore scegliesse l'interrogato e, sapendo di non aver studiato, ripetevo come un mantra "Speriamo che non mi chiami, speriamo che non mi chiami". E poi il nome ad uscire era proprio il mio.

Perchè questo accada non so. So che i nostri vecchi, con la lora fine e allo stesso tempo grezza saggezza, dicono che "Chi vive sperando muore cagando". E allora lo scoramento che mi assale in questi giorni lascia il posto, con un invisibile movimento zigzagante, alla voglia di smettere di pensare e sperare per far spazio al fare, prendendo la mia piccola parte in questo fumoso, scuro e bastardo periodo.

Ghino di Tacco