lunedì 17 agosto 2009

Bandiere e polemiche.

Il mood vacanziero fa fatica ad andarsene, nonostante la realtà di tutti i giorni si impegni a riportarmi sui soliti binari.
Avrei potuto pescare ad occhi chiusi dal marnone di castronerie estive che Berluska, Bossi e compagnia bella hanno puntualmente prodotto; poi, leggendo altri blog, mi sono accorto che sarei stato a dir poco pleonastico.
Così, mi limito ad un commento, un po' secchione, in merito alla diatriba sulle bandiere e sui dialetti che quegli emeriti idioti leghisti hanno fomentato.
La bandiera, non solo quella italiana, è un simbolo. Può essere una bandiera di una regione, di un partito, di una squadra di calcio: ciò che è incontrovertibile è che sia un simbolo.
Il simbolo è ciò che gli antichi greci intendevano per sun-bolon, alias ciò che unisce.
Al contrario, dia-bolon era ed è ciò allontana, che divide.
Usare la bandiera come muraglia per gli immigrati (e non) equivale a dividere con qualcosa che unisce. O viceversa, se meglio aggrada.
Mi fermo di fronte a questo ragionamento alla Sant'Anselmo per tornare con i piedi per terra. La bandiera è sinonimo di valori condivisi, di una cultura che non può essere flat ma che ha mille piccole gradazioni e differenze.
Ma questo dalle parti di Pontida, suona come una bestemmia. Del resto, da uno con la bavetta alla bocca che nomina come erede un genio strepitoso noto per essere stato bocciato 3 volte all'esame di maturità (presso un istituto privato a prova di scemo), che ti aspetti.

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