
Avrei potuto pescare ad occhi chiusi dal marnone di castronerie estive che Berluska, Bossi e compagnia bella hanno puntualmente prodotto; poi, leggendo altri blog, mi sono accorto che sarei stato a dir poco pleonastico.
Così, mi limito ad un commento, un po' secchione, in merito alla diatriba sulle bandiere e sui dialetti che quegli emeriti idioti leghisti hanno fomentato.
La bandiera, non solo quella italiana, è un simbolo. Può essere una bandiera di una regione, di un partito, di una squadra di calcio: ciò che è incontrovertibile è che sia un simbolo.
Il simbolo è ciò che gli antichi greci intendevano per sun-bolon, alias ciò che unisce.
Al contrario, dia-bolon era ed è ciò allontana, che divide.
Usare la bandiera come muraglia per gli immigrati (e non) equivale a dividere con qualcosa che unisce. O viceversa, se meglio aggrada.
Mi fermo di fronte a questo ragionamento alla Sant'Anselmo per tornare con i piedi per terra. La bandiera è sinonimo di valori condivisi, di una cultura che non può essere flat ma che ha mille piccole gradazioni e differenze.
Ma questo dalle parti di Pontida, suona come una bestemmia. Del resto, da uno con la bavetta alla bocca che nomina come erede un genio strepitoso noto per essere stato bocciato 3 volte all'esame di maturità (presso un istituto privato a prova di scemo), che ti aspetti.
Ma questo dalle parti di Pontida, suona come una bestemmia. Del resto, da uno con la bavetta alla bocca che nomina come erede un genio strepitoso noto per essere stato bocciato 3 volte all'esame di maturità (presso un istituto privato a prova di scemo), che ti aspetti.
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